Tutto è così pieno di vita e di odori e a volte capace di suscitare gioia. Solo a volte, più probabilmente al tramonto di quel sole che spesso ho sentito così nemico. E’ più forte di me, mi piega rendendomi cagionevole, poco sana. Penso con invidia a chi può permettersi di sentirlo amico, il sole.
I suoi riflessi sul muro, risvegliano antiche sensazioni. Odori portati dal vento, pezzi di vita dissolti, impalpabili. Fluiscono leggeri nell’aria. Del tutto svincolati dal momento e dalle stagioni. Così, una sera di settembre evoca alla memoria lunghi e assolati pomeriggi di luglio di anni lontani. Un uomo seduto su una sedia a leggere un libro. Strade larghe e deserte.
Sono convinta che la memoria cominci nel naso, giungendo alla mente per vie imprevedibili.
Il silenzio qui è interrotto solo dal cinguettio di uccelli vicini, e pochi, soffusi rumori lontani della vita degli uomini. Qualche cane abbaia senza convinzione, quasi a voler dire “ci sono anche io ma non ho molta voglia di dirlo a voce alta”. Un abbaiare sonnacchioso, privo di energia. Sento scorrere acqua eppure tutto è così asciutto, fermo. Anche il cervello. Sceso alla stazione di un luogo sconosciuto e deserto da dove è quasi impossibile chiedere informazioni sulla direzione da prendere. Sembra così antica quella stazione. A volerla descrivere, pochi binari, sperduti e spacciati, immersi nel sole cocente di un arido paesaggio. L’unica soluzione possibile, chiedere un passaggio alla prima penna che capiti da quelle parti.
La penna.
Strano veicolo per un cervello arenato nella sabbia dell’indolenza. Strumento di salvezza o provocazione della vita. Oasi che allieta l’animo lasciandoti, però, a bocca asciutta.
E’ tutto fermo, come il mare a mezzogiorno. Tutto così lietamente leggero e vuoto da poter quasi volare. Nel cielo di questa carta bianca, così troppo spesso angusta e troppo, troppo bianca.