Quando conobbe Marta era di marzo, e l’ultimo scampolo di inverno veniva già illuminato da qualche debole raggio della primavera ancora bambina. Era rimasto in qualche modo folgorato, colpito dal fulmine di quell’amore, che lo aveva colto tutto, all’improvviso. Con la sua enorme leggerezza lo aveva atterrito, spinto precipitosamente in alto e riscaraventato giù per terra. In un’alternanza folle di giostra, di montagne russe ad alta velocità. La forza di gravità lo riportava brevemente a sé stesso, come una secchiata d’acqua in pieno volto, che tuttavia serviva a ben poco. Le convinzioni sui piacevoli momenti, sulla saggezza di rimanere soli e salvarsi, fecero allora una brutta fine. Impacchettati per bene, furono rispediti sulla Luna, su Marte o su qualche altro pianeta, lontano anni luce dal suo cuore. Nel quale, ora, non poteva esserci che lei. Come un animale abbandonato che non riconosce più la direzione, Marta lo aveva semplicemente raccolto e avvolto tra le sue braccia e questo era stato sufficiente per riconoscerla per sempre.
All’inizio tutto quel sentire del suo cuore lo sfiniva al punto che la sua mente doveva ribellarsi a quella sottomissione. Prendeva le distanze da lei accaparrando scuse ridicole e banali. In quei momenti ci credeva davvero e si imponeva delle fini che lo facevano soffrire come un cane. Era comunque e sempre solo una questione di tempo. A volte di ore, talvolta di settimane. Riunirsi non era a loro scontato come al destino di quell’amore, che non prevedeva le fini che lui pretendeva. Quel destino non poteva essere aggirato, né tantomeno ignorato. Se ne stava lì tra loro, paziente, aspettando la sua resa. Che inevitabilmente arrivò con la consapevolezza che Marta era la donna della sua vita. E questo con tutta l’imperfezione di quella condizione che il loro accoppiamento determinava: due soli ruotanti su sé stessi e l’uno intorno all’altro, che nel loro moto procuravano esplosioni improbabili, dalle quali se ne usciva tramortiti.
Gli occhi di Marta erano torbidi. Non riusciva ad orientarcisi. Ma dalla prima volta che li aveva incrociati ci si era perdutamente perso dentro, entrando in lei, come lei in lui, in un istante che era durato l’eterno. E lì si erano visti, riconosciuti, avvolti, uniti, fusi. Avevano danzato, volato, fatto l’amore, l’uno nell’altra in un silenzio urlante di desiderio, di passione, di musica e colori. Avevano ballato, letto libri, cantato, litigato e fatto pace. Avevano pianto e poi riso. Riso e urlato. Parlato milioni di parole, di frasi, di racconti. Lì in quel punto e in quell’istante era stato vissuto il loro amore. Che in seguito non sarebbe stato altro che nostalgia, pur se non compresa, di quel pezzetto di eterno a loro riservato.
Ma quegli occhi restavano torbidi, mentre i suoi, forse perché miopi, non riuscivano nella realtà a metterla a fuoco. In preda alla gelosia, la immaginava con altri uomini e questo pensiero lo devastava al punto che per giorni non si faceva più sentire abbandonandosi a serate solitarie dove, non di rado, riusciva comunque a rimediare qualche avventura. Sentiva di doversi salvaguardare il cuore, pur se questo richiedeva stritolare quello di Marta. Che inevitabilmente ne soffriva, pur perdonandolo e riprendendolo con sé, inevitabilmente, ogni volta.
Del resto Marta era donna fatta nonostante i suoi non ancora trent’anni. Forse perché quei trent’anni li aveva sempre avuti. Quell’età antica non le impedì di innamorarsi di lui che, nella smania di vivere, era arrivato allo stesso traguardo con maggiore leggerezza. Questa sua caratteristica l’aveva inconsapevolmente attratta, forse per quell’istinto di protezione che le scalpitava dentro. Guardandolo, si era sin da subito innamorata di quel bambino dentro i suoi occhi, nascosto dal suo aspetto da uomo, dalla sua barba nera, da qualche piccola ruga di espressione del suo sguardo. Lo guardava vedendolo così piccolo, avvertendo nel centro del suo cuore una profonda tenerezza.
“Sembri un bambino” pensava lei. “Per un momento mi sei sembrata così grande” rispondeva lui, in silenzio, quando si perdevano negli occhi.
Certo tutto quel sentire non poteva che essere un segno del destino anche se allora il destino era intermittente nelle sue promesse che spesso sembravano disattendersi da sole e solo a volte mantenersi e realizzarsi fedeli. In questi casi assaporavano il paradiso e se ne riempivano così immensamente l’anima da bastarsi e andare avanti, storditi da troppa bellezza. Ne era convinto, un desiderio del genere non l’avrebbe mai più provato. E, fino allora sconosciuto, non avrebbe potuto mai più ripetersi. Quell’intensità era troppa da reggere ed era solo quello il momento della sua vita in cui avrebbe potuto farlo. Come un punto di equilibrio tra la vita già trascorsa e quella ancora da vivere. Non ce ne sarebbe stato un altro in cui concentrare tutto quell’amore, quel desiderio, quella passione.
Quel dolore.
Il punto di rottura che gli segnava il cuore, che avrebbe portato per sempre il segno che quell’amore era realmente esistito.
Ale, mischi la letteratura all’ economia… i punti di incontro nell’ amore….mi sono ritrovarti in ognuno dei personaggi 😘
Cla che vuoi fare…siamo di fronte ad un chiaro esempio di quella che si dice “deformazione professionale”.
Innanzitutto, è stupendo il fatto che nei tuoi racconti non succeda mai nulla.
Trovo inoltre che alcuni brani siano molto ben scritti e, a tratti, anche altamente poetici (vedi la terra, marte e la distanza anni luce dal cuore).
E infine una domanda: nei tuoi racconti ti nascondi sempre dietro una figura maschile. Quando pensi di scoprirti dando il protagonismo ad una donna?
Arrossisco a tratti per tutti questi complimenti. Tu abbi fede. E prima o poi qualcosa la tiro fuori in versione femminile.
…tra le notturne considerazioni sulle diurne azioni resto affascinato dai tuoi mo(n)di…
Break Even Point è la straordinaria capacità di chiudere il bilancio di grandi passioni in pareggio…