Un lunedì assonnato e piovoso. Uno come tanti, di quelli che fanno capolino già nella domenica pomeriggio, lì a immalinconire l’animo. Un lunedì con la faccia di un giorno pesante, a far da capofila a tutti gli altri della settimana, che si profilano, si allineano, si sommano. A pesare, il lunedì, una tonnellata da portare sulle spalle.
Stamattina pensavo che affronto la vita come un soldato. Soprattutto quella del lunedì, quando piove. Anche se poi io un soldato mi ci sento un po’ sempre, ovunque e comunque, anche il sabato, la domenica e al mare col sole. Finanche incinta mi sono sentita un soldato, quando gli ultimi mesi ancora prendevo la metro per andare in ufficio. Era addirittura l’ottavo, quello che una donna se ne dovrebbe stare tranquilla a riposo. Io pensavo di risparmiarlo per dopo quel tempo, anche se sull’argomento, il mio ginecologo non era d’accordo affatto. Lui era uno di quelli convinti che cinque mesi di congedo obbligatorio per una donna in maternità fossero una conquista e un sacrosanto diritto. Era uno di quelli, quel dottore li’ che, pur essendo un uomo, lo sapeva bene che significa portare a termine una gravidanza, anche senza problemi, e partorire, anche senza problemi. Uno di quelli che pensava che i comportamenti azzardati delle donne come me le mettevano in pericolo certe conquiste.
Io, allora, a quel saggio dottore gli davo ragione. C’era solo che, lavorativamente parlando, avevo un po’ troppe paure. Così, sarà stata la fortuna di non avere problemi, e un marito vicino che mi ha sempre aiutato, il suo consiglio, seppur a malincuore, non l’ho ascoltato. E non dico che questo non mi sia poi dispiaciuto. Che quando ci penso sono sicura di avere sbagliato.
Oggi, in questo lunedì piovoso in cui mi sento un soldato, ripensavo a quei primi mesi della vita di Giulio. Ne avrà avuto poco più di cinque soltanto, quando, sistemato in un marsupio, ha cominciato anche lui a prendere la metro. Lo preparavamo io e Antonio la mattina per andare al nido, uno piccolino, vicino l’ufficio. Mi era costato approfondite e minuziose ricerche quando, mentre cercavo, forse per via degli ormoni, mi veniva da piangere forte al solo pensiero. Di doverlo lasciare, quel bambino che ancora non era nemmeno nato. Mi consolava soltanto l’idea di averlo vicino. Cosi’ la mattina questo mio bambino di pochi mesi, sorrideva nel suo marsupio lì sopra la metro. E per i suoi primi tre anni di vita ha viaggiato con me, che allora lo sono davvero stata un vero soldato! Al punto che se solo oggi ci ripenso, ancora la sento forte l’emozione che mi e’ rimasta dentro. E alla fine di questo lunedi’ di ricordi piovosi, mi allieta comunque e teneramente quello del sorriso di Giulio. A cui, guarda caso dicevo “forza soldato!”, mentre lo preparavo per andare a quel nido.

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