Mi passavano per la testa idee strane e sempre più bizzarre. Le rincorrevo principalmente durante le faccende domestiche quando, ad esempio sistemando le posate o i bicchieri nella lavastoviglie, immaginavo di essere come un dio delle cose minori. Se un cucchiaino era da solo da lavare, provavo un senso di pena per quella sua solitudine da me causata cosicché gliene sistemavo uno pulito vicino per non farlo sentire più solo. La faccenda si riproponeva con piatti e bicchieri. Poteva addirittura spingersi ai soprammobili, ai vestiti da sistemare nell’armadio, ai panni da stendere ed, in generale, a tutti gli oggetti inanimati che in questa ottica rendevo animati con pezzi della mia, a cui dunque facevo sentire quello che io avrei sentito al posto loro, quello che io avrei provato se fossi stata un cucchiaino, un piatto o un calzino spaiato e quello che io avrei voluto e chiesto al mio dio.