La filosofia ha oggi il sapore del dentifricio alla menta con il quale mi lavo i denti. Guardandomi allo specchio mentre lo faccio, la mia immagine riflessa mi provoca su questioni esistenziali di un certo livello. Sembrerebbero in effetti mal collocate nell’habitat di un comune bagno se non fosse che particolari di fiori sulle pareti mi sovvengono allo sguardo e, suscitando alla memoria tutta la carrellata di ah quanto mi piacciono le mattonelle del mio bagno che si portano dietro, destano in me il sospetto che il bagno possa invece essere, per filosofeggiare, il posto più adatto. In effetti mi dico che non è solo per una questione di estetica – legata anch’essa a questioni pur esse intrinsecamente filosofiche sul perché e per come un fiore di una mattonella di un bagno comune non possa essere considerato arte – ma è proprio che il bagno mi sembra, più di ogni luogo, connesso alla vera, nuda e cruda essenza della vita. Me lo rivela la forza che applico allo strofinio dello spazzolino sui denti, nel mentre rifletto sui rapporti con le persone e a quanto in questi si usino spesso a sproposito le parole. Me ne vado dunque su e giù, tra i denti pensando. Che in effetti parlare è arte leggia come si direbbe in autorevole isernino. Più difficile e concreta sembrerebbe l’arte del fare che, rispetto alla leggerezza dell’arte del parlare, starebbe più o meno come un teorema: le parole per diventare vere dovrebbero in qualche modo essere dimostrate dalla realtà che cercano di descrivere. Una sorta di Pitagorata dei sentimenti per cui chi ti dice “ti voglio bene” dovrebbe poi dimostrartelo che te ne vuole. Ma all’interrogativo cosa significa dimostrare il bene la pressione sul mio spazzolino diminuisce mentre alla domanda cosa significa voler bene, con pochi e lenti movimenti rotatori, me ne resto piuttosto perplessa a fissarmi nello specchio.
Disegno di Stefania Mirra – Marcondirondirondà