🖋L’invito della vita a pensare poetico sembra ultimamente piuttosto insistente. Me lo ritrovo scritto sui muri mentre attraverso strade polverose, caldissime e solitarie. Affronto il deserto dei fine settimana estivi con un certo affanno e il solo cinguettio degli uccelli a rompere il silenzio di macchine fuggite in località amene vacanziere. Mi interrogo sul recondito significato del think poetic che leggo sui muri scorticati della realtà. Cerco di superare l’impatto disturbante dell’inglese fricchettone e mi assesto su pensieri più italianizzati, dai quali colgo un invito della vita, piuttosto che uno dei soliti mantra da far rimbalzare di qua e di là per stare sul pezzo di una qualche moda. La questione mi distrae, però, sufficientemente dal nucleo dell’argomento profondo e, addirittura, mi conduce a considerazioni forse più di superficie che, traendo spunto dai mantra alla moda, mi fa tornare in mente le donne famose con il fisico al top che imperversano sui social in questo periodo. Approfittando delle loro super vacanze nelle loro località vacanziere super amene, pare abbiano improvvisamente deciso un po’ tutte di prestare la loro immagine alla nobile causa della pancia e dei suoi rotoli. A sentir loro, questi non sarebbero più un problema. Piuttosto toccherebbe andarne fiere, ostentandoli addirittura sulla spiaggia, su internet, sul cellulare e per la strada. Al cospetto di cotanto impegno, di tutto cioè questo rifiorire di pensiero sull’idea del corpo della donna (che basta non se ne poteva più dei secoli di patriarcato e di maschilismo che hanno fino ad oggi dettato legge sull’argomento) finalmente queste dotatissime e impegnatissime donne famose hanno capito da che parte stare. Per tornare alle mie questioni, mi chiedo a tal proposito quanto ci sia di poetico nel loro underboobs, nella esposizione, cioè, dal basso, del loro super tonico seno, da fare intravedere così, fintamente per caso, nel mentre fuoriesce da canottiere minuscole o bikini di due taglie più piccole e tutto ciò nel mentre si apprestano a inviare nella vastità della rete i loro messaggi impegnati, con l’espressione molto seria, ben intonata ai loro pensieri importanti. Volendo approfondire si potrebbe espandere la considerazione approdando dal seno al lato b generosamente offerto al pubblico con fare studiatissimo ma apparentemente disinvolto chiedendosi quanto possa essere poetico che queste qui siano ormai senza tempo e che, a quaranta o cinquant’anni, dimostrino di essere più belle, più in forma e addirittura più giovani delle loro stesse figlie. Insomma una cosa non troppo poetica, direi anzi alquanto inquietante.
Le considerazioni di superficie sui fenomeni del momento mi allontanano sufficientemente dall’interrogativo primordiale di cosa significhi mai questo pensare poetico. Il cicalio delle cicale mi riporta sul giusto binario, mi riprende per mano e mi tira lontano dal think poetic dei rotoli di pancia inesistenti e mi riconduce al pensare poetico di quelli veri. Tra i meandri della realtà mi chiedo, quindi, quanto e come questa possa essere poetica pure quando è brutta e difficile, appunto, come un rotolo prominente di una pancia vera. Per assonanza, Roma, alla fine di questo luglio infernale, mi si ripropone nelle sue buche di strade chiuse al traffico per lavori e nelle sue buste di spazzatura ammucchiate, aperte e sparpagliate accanto ai secchi dell’immondizia nuovi di zecca, con le aperture, a mio avviso, un pelino strette. Per assonanza con l’assonanza, nonostante la puzza, la polvere e il caldo boia, me la sento sufficientemente poetica, tanto da convincermi che pensare poetico è un’attitudine di chi vive, appunto, con poesia.
E lo so bene che la vita non è un film però un poco chi nasce sognatore come me è come se vivesse perennemente in un gigantesco unico e imprevedibile film, uno di quelli dove, dall’inquadratura di qualche insignificante particolare, esce fuori il senso del tutto. Ecco, è così che mi capita. E a volte mi succedono queste cose. Cose che se le inquadro con la telecamera delle mie sensazioni, o forse sarebbe anche meglio dire della mia fantasia, danno senso alla mia vita. Mi mettono allegria e mi restano dentro. Semplici cose, incontri, sguardi, scambi di battute che potrebbero perdersi nell’oceano dei giorni e delle cose che si susseguono, perdersi come gocce nel mare. E invece si cristallizzano nella memoria e restano lì per sempre. A me sono sempre successe piccole cose che poi sono diventate grandi cose. Quasi a dispiegare antichi segreti, come quando svoltando un angolo si scopre la “meraviglia”.
Io gennaio me lo immagino bello