🖋Mi concentro oggi sull’impresa di attraversare il deserto che mi si è collocato nel cervello negli ultimi giorni. Più mi concentro, più la sabbia di quello si intrufola dappertutto. Ci si mette anche il sole che, senza illuminare, con i suoi raggi abbaglia soltanto. I tentativi intrapresi di affrontare la vastità di questo nulla desertico, caldo e pure accecante, sono decisamente tutti falliti. A causa di un’implosione in sé stessi o forse, con maggiore probabilità , delle mie goffe cadute. Sono infatti inciampata più di una volta su qualche duna più ostile, ruzzolando sulle mie intenzioni, ora di registrare un messaggio vocale, ora di scrivere qualcosa di interessante. Il problema mi è parso tutto racchiuso e circoscritto dalla forza paralizzante del mio stesso ragionamento. In altre parole, che quanto più indugio in un’analisi razionale e ragionevolmente ragionata dei perchè e dei per come di quello che dico e faccio e scrivo e registro, tanto più il mio cervello genera sabbia. Me ne sono, infatti, andata blaterando di qualcosa di cui nemmeno mi ricordo bene. Addirittura di una recente colica renale, che accipicchia quella se l’ho attraversata (altro che il deserto di sabbia del mio cervello), in un solitario pomeriggio sul mio divano. Ignara, ho sofferto qualche discreta pena dell’inferno senza nemmeno sapere che di quello si potesse trattare. Insomma, mi sono appoggiata all’orgoglio di aver sopportato un dolore decisamente elevato e di averlo superato senza battere ciglio ma, piuttosto, con un certo piglio. L’argomento mi era sembrato meritevole di una qualche considerazione. Su quanto, per esempio, sia ardito attraversare il dolore ma anche quanto, farlo, faccia sentire in forma e vitale pure quando quello ti ha lasciato tramortito. Poi però, forse perché vitale sì ma ancora tramortita, non sono riuscita a rendere bene l’essenza di quello che volevo dire. Ho così lasciato perdere le questioni dolorose connesse alle coliche renali, rimandando a tempi e argomenti migliori.
Stamattina il cinguettio dei pappagallini verdi sopra la mia testa mi è sembrato parecchio insistente. Inconsciamente deve avermi aiutato a ritrovare il bandolo della matassa, mi ha cioè suggerito di parlare dei miei libri. La cosa mi è sembrata entusiasmante, almeno quel tanto da superare deserto, dune e sabbia e a ritrovare un’oasi dietro un raggio di sole.
Ovviamente penso a mia madre. Che quei miei due libri li leggeva e rileggeva seduta su di una poltroncina. Me la ricordo così e accidenti se mi commuovo a pensare di averla resa con questi parecchio orgogliosa.