L’estate scorsa, in qualche caldo e sonnacchioso pomeriggio di agosto in terra molisana, mi crogiolavo come al solito nella nostalgia della mia vita e, per non farmi mancare niente, pure di un’altra mai vissuta. Grazie ai racconti del mio amico Fernando, avevo infatti trascorso qualche lieto momento tra i vicoli di un paesino mai conosciuto, tra la sua gente, aneddoti e ricordi. Mi riaffiora oggi alla mente quel pomeriggio in cui, scrivendo della nostalgia per quella vita mai vissuta, davo forma ad una sensazione, un sentimento di invidia che inconsapevolmente devo aver sempre provato durante la mia sola vita cittadina (provinciale prima e metropolitana poi), verso chi ha avuto la fortuna di un’origine e di una vita paesana. Lo so, può sembrare strano: in questo presente di spopolamento dei paesi che sembrano non poter contenere il futuro, io me ne sto qui a parlare della mia invidia per chi ha avuto la possibilità di viverci e conoscerne il passato.

Oggi ho ripreso in mano il libro “Occhi a candela” della mia amica Roberta Muzio che, con grande dedizione, di quel passato ha fatto il punto di partenza di un lavoro che ha ad oggetto la ricostruzione della storia della vita, appunto paesana, in quel di Frosolone, comune in provincia di Isernia e suo paese di origine Frosolone ammirata con “occhi a candela“. Per il tramite della sua famiglia, Roberta ha narrato di un’epoca e di un territorio, ha dipinto luoghi, ha svelato storie, intrecci, legami di sangue e di amicizia. Ha ricordato un passato che è giunto fino al presente e che sarebbe bello potesse contemplare in sé la possibilità di un futuro. A questo Roberta ha dedicato i suoi libri Occhi a candela e Il suono del ferro, in cui si dipana la sua saga familiare, e i suoi Quaderni per il tè del pomeriggio, in cui tutto rinvia all’antico con l’intento di salvaguardare la memoria orale tramandata. Oltre la scrittura, e forse proprio per il suo tramite, ha poi proseguito il suo intento di salvaguardia del tempo anche con l’apertura del Piccolo Museo Occhi a candela, “un luogo privato, una casa in cui sono ambientate le vicende raccontate nei libri che diventa luogo collettivo della microstoria dell’Italia del Sud…”  Piccolo-museo-occhi-a-candela-e-antica-biblioteca-scolastica.

Ho sinceramente ammirato e seguito in questi anni l’impegno di Roberta che, negli scorsi giorni ha pubblicato il suo ultimo libro Candle eyes, traduzione della saga dei Pental, soprannome della sua famiglia che, come tante famiglie del Sud, ha visto allontanarsi gente del suo sangue verso Paesi lontani, emigrando oltreoceano. Con questo ultimo lavoro Roberta non si è dimenticata di loro, non ha perso di vista che i legami del sangue e della terra sopravvivono al tempo e agli oceani. Ha arricchito il suo lavoro, immaginando quei cuori lontani della sua famiglia e quanto questi potessero sentire allo stesso modo degli altri cuori di tutte quelle altre famiglie, con un altro soprannome sì, ma simili per origine, storia, ricordi e sentimento. Quello che una vita di paese può tramandare con ancora più forza di quella di città e che magari in futuro si spera possa animare qualcuno a ricercare e ritrovare nelle case di padri e di madri, di nonni e bisnonni, e in tutte quelle storie che dovrebbero sopravvivere all’abbandono e all’oblio.

 

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