Mentre ricerco il tempo perduto, quello restato sfugge come sabbia tra le dita. Il mio tempo restato si perde come i granelli di sabbia che ritornano alla sabbia. Il mio tempo è un granello di sabbia che alla velocità della luce si ricongiunge ai miliardi di granelli di sabbia del tempo altrui, del mondo, dell’intero universo. In tutto questo patatrac di tempo e di sabbia sono una minuscola molecola e aleggio nel granello di sabbia del mio tempo restato da dove ricordo che in quello perduto me ne stavo  a fissare il muro del palazzo di fronte. Il muro del palazzo di fronte è un concetto che la mia mente considera. Per quel non so che di interessante da muro del palazzo di fronte anche quando è un muro scarno, brutto, un muro vuoto, un muro e basta. Io mi ci incanto lo stesso. Il “vicc’e Cerce” mi chiamava mia madre mentre ero incantata. Io mi ridestavo dal muro di fronte  “Cos’è il vicc’e Cerce?” le chiedevo. “Un tacchino di Cerce” rispondeva lei. “Tu sei un tacchino di Cerce, stai sempre a pensare”. “Ma perchè i tacchini di Cerce pensano? Stanno sempre a pensare?” rispondevo io, che di tacchini non mi intendevo per niente “e certo!” mi rispondeva mia madre, che di tacchini si intendeva solo un pochino più di me. Infatti, rideva, e io allora tornavo a fissare il mio muro e pure se lei rideva e di tacchini ne sapeva solo un pochino più di me, mi restava dentro una certezza in più della vita, quella  di essere un tacchino pensieroso di Cerce. Le cose che diceva mia madre mi si fissavano dentro un po’ come dati di fatto. Il tacchino di Cerce era un dato di fatto perché lo diceva mia madre, pure se a Cerce non c’erano tacchini o, pure se ce ne fossero stati, erano esattamente uguali ai tacchini di un qualunque altro luogo.

In riva al mare dei miei ricordi…

Share:

Leave a reply

Your email address will not be published. Required fields are marked *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.