La questione del tempo restato, ancora non perduto, resta sempre il ricordo. All’epoca di quel mio tempo perduto fumavo e a pensarci adesso mi pare di ricordare una sensazione che anch’essa potrei definire perduta e che allora, invece, volava leggiadra nel cielo della sera, sì soprattutto della sera, magari di una giornata calda d’estate. Poteva dirsi connessa all’odore del fumo di quella sigaretta fumata affacciata alla finestra. La sensazione era proprio un tutt’uno con quella nuvoletta bianca di fumo tanto che per me la sigaretta, più che una cosa, mi è rimasta dentro come un concetto, una modalità Proust di sentire la vita. Un ossimoro, aspirato come l’ossigeno. Altri tempi, altro io. Uno di quelli lasciati defunti nel cimitero del tempo perduto e che non basta l’odore generico di fumo per ritrovare. A quello pure, con il trascorrere della vita, ci si assuefà.  Si corrompe sotto il solito mucchio di panni sfatti e sgualciti che nel frattempo ci si sono adagiati sopra, che lo hanno alla fine soffocato. Poi però in un attimo, chi sa perché e chi sa come, eccolo lì l’odore specifico di fumo, quello, proprio quello che mi riconnette a quell’io che se ne sta nel suo cimitero e mi pare proprio un viaggio nel tempo, lo vado a trovare. Me lo ritrovo nel naso con l’intensità di quella vita che avvertivo respirando quella nuvoletta e che a sua volta mi riconnetteva a quell’altro io defunto della mia infanzia quando quell’odore di fumo era bello aspirarlo dalle mani di mio padre. Mi pare che la memoria che nasce dal naso sia imprevedibile e può generare cerchi di vita risorta che si moltiplicano, si espandono come quando si getta un sasso in un lago calmo.

In riva al mare dei miei ricordi…

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