🖋 La volontà di seguire qualcosa che è dentro di me e che sento di dover condividere con il mondo si trasforma spesso nella sovrastruttura straripante delle mie registrazioni. Metaforicamente parlando c’è da prendere la pala e scavare, sollevare le troppe parole inutili, i minuti di troppo e arrivare al nucleo essenziale. Quello la cui bontà la intuisco a livello istintivo ma che stenta a spiegarsi con chiarezza. Continuo imperterrita nel proposito riponendo molta fiducia e speranza nella continuità dei passi. Questi mi pare che debbano necessariamente definire il cammino. Pure se impervio, anche se molto accidentato. Intanto che ciò avvenga, è sufficientemente chiaro che questo è il tempo del mio dolore. Nella necessità di viverlo e attraversarlo, sto imparando a conoscere e rispettare esso e me stessa. Mi sono dovuta ricredere. Ho pensato di averlo affrontato come un samurai, così come ho interpretato Battiato. La cosa recava con sé un presupposto di ostilità dell’affronto che, tuttavia, nel mio caso avvertivo confusamente fuori posto. L’arma che avrei utilizzato nel combattimento con il presunto nemico sarebbe stata proprio la scrittura: la lunga lettera a mia madre, il nuovo libro, lì dove invece, guarda caso, il mio dolore ha le sembianze di una zattera che mi ha consentito di rimanere a galla nel mare nero e in tempesta della vita. Ho meditato parecchio in questi giorni sull’evidente contraddizione fino a comprendere, infine, che di quel dolore ho invece avuto un disperato bisogno come alleato per separarmi definitivamente da mia madre. Mi univa, e unisce ancora a lei, concedendomi il tempo per realizzare la sua scomparsa, per ripercorrere i momenti atroci della sua perdita. Non è stato un nemico da affrontare ma un alleato da scoprire, al punto che mi chiedo se non fosse invece questo il senso di Battiato quando parlava di affrontare il dolore della vita come un samurai. Se non fosse stato cioè quello di conoscerlo il dolore, stringendogli con rispetto la mano. La nettezza della morte di mia madre non poteva entrare in me nel momento della sua esistenza. C’è stata e c’è una necessità di tempo non definibile, non quantificabile, che potrebbe durare anche tutta la vita, se necessario. Con il dolore ad invecchiare e trasformarsi con me, compagno di viaggio conosciuto sul ciglio di un profondo burrone dopo esserci caduta dentro. Vigoroso mi ha preso prestandomi il suo braccio. Con forza mi ha stretta facendomi un gran male mentre ha tentato di riportarmi fuori da quell’orrido burrone. Il mondo stenta a capirle certe cose e certi sentimenti. Fa fatica a riconoscere la vita dove non si intravede spensieratezza ed allegria. Si indispettisce, si spazientisce, si annoia di fronte all’altra metà del Cielo. Ma io no e dell’altra metà del Cielo avrò sempre bisogno per sentirmi completamente e irrimediabilmente viva, sforzandomi di ricercare le stelle. Quelle volate via come lucciole veloci, che forse un giorno sentirò vicine, intorno e nascoste a illuminarmi le spalle.
Ciao Ale, ho ascoltato con molto interesse il tuo discorso molto profondo e molto toccante. Ho ben compreso ciò che dici ed è vero, il dolore è un qualcosa che contribuisce a sentire vicina, la persona cara, che ci ha lasciati e quasi vorresti non finisse mai, a tal punto che, nel momento in cui si attenua, perché in fondo non sparisce mai del tutto, ti senti quasi in colpa. Il dolore, in sostanza e secondo me lo si potrebbe definire un effetto paradosso, cioè serve a metabolizzare, il dolore stesso!
Sono contenta di averti sentito dire, che questa volta è stata più “sopportabile”, l’idea della scomparsa della tua cara e indimenticabile mamma, che comunque ti sarà sempre vicina. Un forte abbraccio e un bacio .
P. S. Pensa la coincidenza: era da un po’ che non ascoltavo i tuoi “audio”, l’ho fatto a quest’ora, 2:00, quindi 21/01/2023, anniversario del compleanno e della scomparsa del mio caro e altrettanto indimenticabile, papà 😢😢😍❤️🙏
Sempre nel cuore ❤️🙏