La porta si apre e il flusso umano defluisce inesorabile verso l’uscita, come un fiume che lentamente scorre, a rallentatore. Guardo le teste, le schiene, gli zaini che si dirigono verso il varco per imboccare le scale mobili, in quel pezzo di terra sotterraneo dove, dal vagone del treno dell’altra direzione, un altro flusso umano defluisce.  L’immagine rallentata di quel movimento si fissa nel cervello, come una foto del momento presente scattata con il flash, che si sovrappone a strati di momenti identici, fatti dello stesso tempo rallentato, delle teste, delle schiene e dell’inesorabile fluire della gente sulle scale.

Il tempo in cui mi trovo in quel pezzetto di terra sotterranea potrebbe essere lo stesso di quattro anni fa. Basta solo sfogliare gli strati di quelle immagini uguali e sovrapposte, di quelle teste, di quelle schiene,  degli zaini e potrei senza ombra di dubbio ritrovarmi nel tempo altro del tempo mio, quello che quattro anni fa era ancora tempo mio, prima che si staccasse da me come un foglio di calendario. E’ un flashback? O sarà che il tempo altro dal tempo mio che è stato il tempo mio si è staccato da me diventando il tempo altro dal tempo mio pur essendo stato un tempo, il tempo mio? Potrei continuare in eterno a dimenarmi tra i quesiti del tempo, che incessantemente scorre e che sale le scale mobili insieme a me e a questi milioni di genti sempre diverse che mi toccano il braccio. Sembrano anche loro sempre le stesse di quattro anni fa. Salivano con me su queste scale che salgono salgono salgono in eterno e il tempo che il mio piede è sullo scalino di sotto non è più il tempo del mio piede sullo scalino di sopra che diventa il tempo altro dello scalino di sotto e altro dello scalino di sopra. E potrebbe essere un flashback, una porta della memoria che si apre e si riapre e si riapre fino a beccare l’esatto istante di quattro anni fa, identico all’istante in cui l’occhio cattura l’immagine del presente che nel frattempo che dal mio occhio arriva al mio cervello è già scivolato nel passato. Prossimo, prossimo e passato.

Sono passati anche dei giorni dall’istante di questo flashback sotto la metro. Ero all’uscita del vagone, a Termini, tra i milioni di genti che mi sfioravano il braccio, e mi sono portata dietro a braccetto questa idea del tempo che sale e che scende in eterno sulle scale mobili e che dopo milioni di direzioni Rebibbia contro direzione Laurentina e di Anagnina contro Battistini, mi fa pensare che il tempo sì, si può ritrovare. Devo solo correre al contrario sulla scala mobile della metro: scendere mentre quella sale o salire mentre quella scende.

Mi sovviene improvviso il pensiero che il piede sulla scala mobile è di solito fermo. Non si muove, non sale e non scende. E’ dunque il tempo che sotto le suole delle mie scarpe passa e mi trasporta. Non vado avanti nel tempo ma sul tempo che, come un tapirulan, scorre e posso rimanermene immobile senza muovere un solo muscolo del mio corpo, questo comunque avanza sul tempo e ora è qui e dopo è lì, o forse è qui e lì, il tempo, ovunque, e quella che ero lì non sono più ora che sono qui…

“Si avvisano i gentili viaggiatori di prestare attenzione ai borseggiatori”. I pickpocket della metropolitana sono la realtà che mi distrae dal tempo e dai miei molteplici io lasciati sui gradini delle scale mobili. Ad esempio, il mio io assorto sulle questioni del tempo è un altro rispetto all’io che percepisce un  pickpocket della metro un essere da cartone animato. I pickpocket, a senso, sono più morbidi dei borseggiatori. Sono allegri, sembrano paffuti come palline. I pickpocket della stazione Termini infilano le loro manine paffute di cartone animato nelle borse aperte, negli zaini imprudentemente lasciati dietro le spalle e in quel tempo infinitesimale di un passaggio tra il dentro e il fuori la metro loro hanno come un monitor nel cervello che gli consente di individuare esattamente dove si trovano i portafogli della gente. Mi dico che la questione è assai bizzarra. Io nonostante i tentativi di razionalizzazione, di riduzione ai minimi termini delle cose da portarmi appresso nella borsa, sto sempre lì a rimestare e rimestare e se cerco le chiavi trovo il portafoglio e se cerco il portafoglio trovo le chiavi e non trovo mai quello che cerco e quello che cerco lo trovo dopo che sono stata lì a rimestare un bel po’ di minuti, ecco allora io mi chiedo come fanno questi lesti pickpocket nell’istante in cui uno sale o scende dalla metro a infilare le mani in borse sconosciute, a  trovare esattamente quello che cercano, a uscire prima che le porte si richiudano, a guardare in faccia il malcapitato derubato, aspettare che le porte si richiudano e a sfidarlo con lo sguardo, a dirgli con gli occhi, come il tempo sulle scale, “vieni a prendermi, se ci riesci!”

In riva al mare dei miei ricordi…

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