Mi chiedo a volte se siano i libri ad entrare dentro di noi oppure se siamo noi e tutto l’umano che ci portiamo dietro ad entrare dentro i libri. C’è che a volte mi succedono cose strane. Forse coincidenze, a cui però io do un senso tutto personale. Ecco, allora stamattina scendo dalla metro b alla stazione Termini e vengo investita da un profumo di cucina ma buono, così buono che per un momento ho pensato di sognare. Il profumo buono era un odore di soffritto, di quelli che a casa di mia nonna si sentivano di solito la domenica, quando il pranzo da preparare era quello con il ragu’ di carne fatto con tutti i crismi, tipo appunto il soffritto. Ora lo so bene che sentire alla stazione Termini di mattina presto un odore di soffritto non sempre può rivelarsi un’esperienza sensoriale delle migliori. Invece oggi, non solo è stata un’esperienza sensoriale magnifica, ma direi che ho avuto il sospetto che quasi lo fosse in maniera paranormale, cioè che solo io la stessi vivendo, che solo io sentissi quel profumo.
In realtà la cosa è durata una manciata di minuti, il tempo di arrivare dalla banchina alle scale mobili benché questi minuti siano stati comunque sufficienti a farmi rivivere le sensazioni di quando, da bambina, andavo a casa dei miei nonni e dal corridoio venivo inebriata dal profumo delle cose buone che solo mia nonna sapeva cucinare in un modo del quale io, mai e poi mai, potrei qui rendere la più pallida idea. Come una matriosca, l’odore di soffritto si è poi aperto lasciando uscire da sé stesso quell’altro odore della casa dei miei nonni. E di fronte a questa esperienza, a questo sbocciare di odori da odori, che come petali si schiudono intorno alla corolla del fiore delle mie sensazioni, in un luogo sperduto di me stessa io ho ritrovato una bambina felice.
Ora ovviamente lo so bene di essere piuttosto scontata e poco originale se, nel tempo della mia ricerca del tempo perduto, io me ne sto qui a raccontare della mia esperienza con un odore di soffritto. Che è fin troppo ovvio il paragone con la madeleine di Proust e della memoria involontaria risvegliata da un sapore oppure da un odore. Resta che però Proust affinò la sensazione evocata dal pane abbrustolito sostituendolo con una fetta biscottata prima e le più simboliche e forse eleganti petites madeleines francesi poi. Io, così come forse mi conviene, mi custodisco il mio soffritto tutto italiano, sì, proprio quello che vede protagonista la sempliciotta cipolla che rosola nell’olio, e me lo continuo a custodire proprio gelosamente in qualche luogo remoto e sconosciuto della mia anima, lì dove nulla potrà mai cambiare di quel che è stato, men che meno gli attimi di pura felicità che, sì, anche una come me nella vita ha provato.
“…oppresso dalla giornata grigia e dalla previsione d’un triste domani, portai alle labbra un cucchiaino di tè, in cui avevo inzuppato un pezzetto di madeleine. Ma, nel momento stesso che quel sorso misto a briciolo di biscotto tocco’ il mio palato, trasalii, attento a quanto avveniva in me di straordinario. Un piacere delizioso m’aveva invaso, isolato, senza nozione della sua causa. M’aveva subito reso indifferenti le vicissitudini della vita, le sue calamità inoffensive, la sua brevità illusoria, nel modo stesso in cui agisce l’amore colmandomi di un’essenza preziosa: o meglio quest’essenza non era in me, era me stesso. Avevo cessato di sentirmi mediocre, contingente, mortale. Donde m’era potuta venire quella gioia violenta? Sentivo che era legata al sapore del tè e del biscotto, ma lo sorpassava incommensurabilmente, non doveva essere della stessa natura. Donde veniva? Che significava? Dove afferrarla? Bevo un secondo sorso in cui non trovo nulla di più che nel primo, un terzo dal quale ricevo meno che dal secondo. E’ tempo che io mi fermi, la virtù della bevanda sembra diminuire. E’ chiaro che la verità che cerco non è in essa, ma in me.”
“Alla ricerca del tempo perduto – La strada di Swann” Marcel Proust – Edizioni Einaudi – Traduzione di Natalia Ginzburg
Ode alla cipolla…