Mia madre a sei anni ha visto Dio attraversare il cielo. Con questa immagine mi sono consolata quando mi ha lasciata. Ero vicina al suo letto e a quel Dio su una carrozza dorata ho pensato mentre la sua anima era ormai già fuori dal suo corpo morente. Mi raccontava che quel ricordo d’infanzia era così vivo che a volte stentava a credere che fosse stato solo un sogno. A me è sempre piaciuta l’idea del Dio di mia madre che attraversava il cielo davanti ai suoi occhi di bambina. Mi dava la sensazione di un Dio riservato alle anime buone come la sua e quando per l’ultima volta ho accarezzato il suo viso e l’ho baciata c’è stato un momento in cui ne ho avuto la certezza. In fin dei conti nella vita Dio ci parla poche volte ma sicuramente sufficienti, se ben interpretate, ad accompagnarci per sempre. A consolarci, a rendere il nostro pianto su questa terra più lieve, meno doloroso. Ho così immaginato che nella visione di mia madre ci fosse un presagio di bellezza, una sorta di promessa. Un abbraccio, un sorriso sornione di un vecchio saggio che guarda una bambina affacciarsi alla vita e ne incoraggi solo con lo sguardo i primi passi. Come a dire “non preoccuparti di tutto quel che sarà, fatti un giro e poi torna da me.”
A sei anni mia madre era ancora vicinissima al mondo di Dio, non lo aveva ancora lasciato. Alla sua nascita, il 15 gennaio del 1942, nel Cielo deve esserci restata più del dovuto tanto da trattenerne con sé qualche pezzetto. La immagino sulla terra, pesante poco più di un chilo e un pezzetto di cielo. Con le manine piccole e gli occhi chiusi a combattere per la vita e nel cielo di Dio con gli occhi aperti e il sorriso a fluttuare leggera come una piuma. La vita deve averla infine richiamata all’improvviso sulla terra e deve averlo fatto con una certa forza, tanto che lei ha dovuto aggrapparsi. Il Cielo, per forza, deve essergli restato tra le mani, negli occhi e, per sempre, nel cuore.
Quando mia madre ripensava a sé stessa, a lei appena nata nella sua culletta, si commuoveva sempre. Non erano certo tempi in cui si poteva andare tanto per il sottile e mia nonna Filomena aveva il suo bel da fare. Aveva da poco perso un figlioletto di tre anni per un malanno. Allora si moriva presto anche solo per una cura sbagliata. Le lacrime e il dolore avevano attraversato tutta la linfa vitale con la quale mia madre era stata nutrita i suoi primi giorni. “Come potevo essere allegra?” ci diceva sorridendo quando ce lo raccontava. Erano tempi quelli in cui non si andava proprio per niente per il sottile. Filomena se la portava dietro bambinetta al cimitero e mia madre la sentiva piangere sulla tomba di quel figlioletto morto, unico maschio in una famiglia di sole figlie femmine. Quell’unico figlioletto maschio non era sopravvissuto, non era stato destino mentre il suo era stato quello di seguirlo, di prendere in un certo qual modo il suo posto. Certe esistenze sono così, portano con sé sin dalla nascita un discreto carico di dolore. Non so se possa definirsi una questione di fortuna che, si sa, è piuttosto cieca, coglie dove coglie e dove non coglie pazienza, ci si arrangia finché poi si muore. Alla fine allo stesso modo tutti si muore e il tempo aggiusta tutto, così come fanno le lapidi e le tombe.
A volte penso che l’anima sfugga a tutte le stupidaggini, comprese quelle della sfortuna. E che un’anima, benchè intrappolata in un corpo dalla vita difficile, non è mai sfortunata soprattutto quando è buona. Mia madre aveva un’anima buona. E dunque per me è stata molto fortunata. La sua anima era anche bella e deve essere stata anche molto curiosa. Pur non avendo tanto viaggiato lo aveva fatto parecchio con la sua immaginazione. Deve essere stato anche per questo che una parente lontana della sua famiglia, una delle tante cugine o forse nipoti, non so, insomma una di quelle figlie di una di quelle sue zie, cognate di mia nonna emigrate in America, il giorno della sua morte ha inviato un messaggio a mia sorella chiedendo “it’s tutto ok?” Aveva dall’altro capo del mondo fatto un sogno che le aveva lasciato una sensazione legata a mia madre al risveglio. It was a “feeling” i got. Un sogno particolare, uno di quelli da farti alzare e mandare un messaggio, appunto, all’altro capo del mondo. Mia madre era morta da poche ore e nessuno di loro poteva saperlo. A me piace pensare che si sia fatta un giretto, proprio in quei posti che aveva sempre immaginato, a curiosare e vedere dov’è che abitasse quella gente con il suo stesso sangue, quel sangue che ha sentito la sua anima perchè “the blood senses these things“.
Nella mia vita innumerevoli volte ho chiesto a mia madre di cosa fosse morto il fratellino Lello o di spiegarmi i vari legami familiari, insomma l’albero genealogico. Lo dimenticavo sempre. Forse perché mi piaceva sentirla parlare e raccontare fatti e cose in sottofondo ai miei pensieri e quindi mi perdevo sempre tanto da chiedere e richiederle sempre le stesse cose e dimenticarle. Chi sa, forse in fondo al mio cuore ero convinta che non dovesse mai morire e che chi sa quante altre volte avrei potuto chiederle ancora queste cose e pure dimenticarle. Ci pensavo mentre provavo a cuocere i peperoni verdi. Anche questo…chi sa quante volte gliel’ho visto fare e chi sa quanto tempo credevo ancora di avere per chiederle come diavolo si friggono senza farli scoppiare.
Anima bella….