Se scrivere non è semplice, farlo in inglese, per una che l’inglese non lo sa, non lo parla e a stento lo capisce, diventa quantomeno imprudente. E seppur comprenda bene il bisogno di adeguarsi ai tempi e ai fenomeni, come quello, tutto italiano, di darsi un tono con il dilagante uso di questa lingua alternativa, questa sorta di “ingle-italiano” (del tipo: due termini italiani e tre inglesi e poi di nuovo tre italiani e due inglesi e via discorrendo), il motivo per cui ho deciso di intitolare il mio raccontino con un termine inglese è perché, semplicemente, mi è balenata nella memoria una reminiscenza dei miei studi di economia, un concetto che mi era particolarmente piaciuto: il punto di equilibrio, altrimenti detto punto di rottura e, appunto, break even point.
Inutile dire che ho dovuto verificare più di una volta come si scrivesse e, così come mi è capitato un milione di volte nella vita di non vedere più l’errore che è sotto i miei occhi, benché chiaro, nitido e preciso, eccotela là che invece di scrivere break, ci ho aggiunto questa “c” (tutta italiana) in mezzo e ho pubblicato breack.
E quindi crack! Bella svista davvero, che la mia amica Isa ha subito provveduto a segnalarmi ma, ahimè, dopo una mia condivisione in rete, nonché quella dell’altra mia amica Cinzia e della stessa Isa. Ammetto di aver sottovalutato il problema. Ho infatti scoperto che puoi anche correggerla una cosa che hai condiviso ma poi quella, non so per quale strana e misteriosa ragione, ti resta lì sbagliata. E d’accordo che con questi affari io non ho molta dimestichezza. D’accordo anche che sono un’imbranata, d’accordo che forse il modo c’è ma io non lo vedo, fatto sta che se fai un errore in rete e provi a correggerlo, a me è sembrato che, piuttosto che migliorarla la situazione, la peggiori.
Insomma, al messaggio di Isa sono seguiti una mezzoretta di vani tentativi, di prove, di apri, chiudi, aricondividi, ariprova, aricancella, (…arimortacci), e via dicendo, sotto gli occhi piuttosto perplessi di Antonio che mi guardava senza capire cosa fosse mai successo e cosa io stessi facendo.
E tutto questo per accorgermi, come direbbe il mio amico Salvatore altrimenti detto Gianni, “alla fine della fiera”, che quella “c” era ancora lì, imperterrita, e che chissà per quanto ancora ci resterà.
Così, tutta immersa nel vortice della problematica nonché della miserrima figura che mi apprestavo a fare, le parole di Giulio sono state provvidenziali per ricondurmi alla realtà: “Mamma, ma tu mica sei inglese. Quindi se hai fatto un errore che fa.”
E come al solito i bambini si rivelano essere saggi, reali e realistici molto più che noi adulti. A queste parole, lo ammetto, sono rinsavita. E davvero ho passato un buon quarto d’ora a ridere con Isa, ma a ridere con le lacrime agli occhi perché nel frattempo che sia io che lei avevamo forse risolto il problema, c’era da affrontare la condivisione di Cinzia che da Hammamet, accomodata su qualche ideale cammello, non le passava neanche per l’anticamera del cervello di curarsi di simili magagne internettiane.
Insomma, questa “c” di troppo mi ha dato più di uno spunto di riflessione:
- che i bambini insegnano molto più che gli adulti;
- che prima di scrivere qualcosa in rete è meglio pensarci bene;
- che se la rete si chiama rete, alla fine, un motivo ci deve pur essere;
- che l’errore è sempre in agguato e pronto, forse utilmente, a ridimensionarci;
- che ogni tanto è salutare farsela una bella risata con i vecchi amici;
- che l’italiano e’ piu’ sicuro che l’inglese;
- che Cinzia è Cinzia e solo chi la conosce può capire di che sto parlando.
Ho riso anch’io, fino alle lacrime,immaginando le vostre disquisizioni.Ogni tanto fa bene farsi una bella risata. Ridi Ale, fallo spesso,la tua risata mi riempie di gioia!!!!!
Giulio forever…o come si scrive
… azz…
E che cacchio sta cacchio e c …. Sei troppo forte!! È soprattutto è più forte Giulio.
Mitico Giulio!!!
Ale mi hai fatto proprio ridere 😂😂