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Me ne sto qui a guardare il sole primordiale di una nuova primavera. Il susseguirsi delle stagioni è inesorabile e se ne frega altamente di quello che succede per il mondo. Gli alberi rifioriscono, le giornate si allungano, l’aria profuma. Tutto dovrebbe invitare ad una rinascita nel cuore. Si esce dall’inverno e si entrerebbe nella primavera se non ci fosse il passaggio intermedio nell’inferno della guerra. I livelli di inquietudine viaggiano di pari passo a sentimenti che sempre più allontanano dal resto del mondo, allineandomi a quella pratica di arroccarmi sul mio solitario cucuzzolo a tirare mentalmente sassi a quell’umanità indistinta che da me si distingue sempre più inesorabilmente. Poi, se ci rifletto meglio, devo comunque ammetterlo che tutto potrebbe riassumersi nella millenaria parabola che ci raccontava Gesù, quando da quel dì ci ammoniva e ci diceva che sarebbe stato utile preoccuparsi della trave che abbiamo conficcata nel nostro occhio piuttosto che soffermarsi sulla pagliuzza nell’occhio dell’altro. Oggi ce ne andiamo tutti in giro ad accusare gli altri di avere travi conficcate un pò dappertutto, soprattutto nel cervello ma questi sono tempi lontani da tutto e, tocca riconoscerlo, Gesù lo abbiamo riposto in un cassetto, come il vangelo piccolino della prima comunione. Alla fine le guerre sono degli uomini e nascono dal loro cuore. Quindi prima di cominciare da quello degli altri potrei cominciare dal mio. Magari tirando il Vangelo di Gesù fuori dal cassetto. Magari mi aiuta a scendere dal mio solitario cucuzzulo, lì dove è sicuramente più probabile pensare volgare e alimentare la guerra piuttosto che respirare e contribuire a far tornare a volare la pace.