Oggi parliamo…
🎧🎤…della superstizione del diciassette, delle ricorrenze del diciassette, dei passi del diciassette…❤️🌹😌

Il diciassette di novembre è stato sovrastato dai dolori del risveglio. Particolarmente insistenti, si sono tirati dietro anche quelli della notte, trascorsa prevalentemente insonne alla ricerca di una posizione che mitigasse un torcicollo cosiddetto espanso, uno di quei dolori, cioè, che cominciano vaghi e circoscritti con una sorta di rigidità del collo per poi espandersi ed invadere altri pezzi di corpo. Come se non bastasse, a mattina inoltrata, un dolore improvviso mi ha colpito il ginocchio, una cosa da non credere, da farmi vedere tutte le stelle del firmamento e senza nessunissimo motivo, tra l’altro (che so, una botta, una storta, un passo falso). Niente di niente, all’improvviso. Ne ho dibattuto con il mio amico siciliano, al quale l’ho descritto come una sorta di fattura, una di quelle pratiche con gli spilloni che si conficcano nelle bambole di pezza durante i riti governati dalla volontà del malocchio, dall’insana cattiveria altrui, cioè, di indirizzare energia negativa verso qualcuno per fargli del male. Insomma, tutta quella roba superstiziosa legata al concetto dell’altro da sé come entità suprema capace di determinare addirittura la sofferenza. In effetti la questione ben si concilia con il diciassette che, tornando alla ribalta per la via accidentata della superstizione, non mi fa dimenticare comunque la ricorrenza e che oggi è solo un anno e mezzo che mia madre è morta. Me la sento comunque sempre alle spalle. A ripetermi, prevalentemente, che sono una scelata.

Io, superstizione e scelataria a parte, come ogni diciassette, oggi mi soffermo però e soprattutto sul passo del viaggio in corso. Un anno e mezzo di vita immerso nella sua morte. Ne è uscito fuori un libro che mi tengo ancora stretto stretto addosso, che a separarmene non è così come lo avevo immaginato.

C’è che il dolore non è cosa semplice da trattare. Lo eviti e provi disagio, lo affronti e provi disagio. Non si capisce mai se la cosa migliore sia prenderne le distanze o attraversarlo, immergendotici dentro. Io proprio questo mi pare di aver fatto scrivendo, anche se ancora non lo so quanto sia stato terapeutico o saggio farlo.

Il mattino che mi alzai per iniziare questo libro, tossii. Qualcosa veniva fuori dalla mia gola, mi strangolava. Spezzai il filo che la teneva e la buttai via. Tornai a letto e dissi: ho sputato il mio cuore”. Anais Nin

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“Superfluo dirti che l’ho letto tutto d’un fiato. E la sensazione che ne ho tratto è che l’autrice è una neonata. Con la Sua scomparsa è come se Maria ti avesse partorito di nuovo: una Alessandra altra, quella che sei ora. 

Hai scritto con dolore, con rimpianto, con rabbia in taluni punti, con una prosa  in cui non sono rare le terne di parole iterate, quasi a volerle incidere più profondamente in te stessa, toccando vertici di fortissima emozione (le pagine sulla es-tumulazione sono struggenti e indimenticabili) e di dolcissima tenerezza (quella Maria/farfalla grigia, che si ripresenta costante a suggere dai tuoi fiori tutto l’Amore che essi rappresentano per Lei e per te, è pura, altissima Poesia). – Fernando Anzovino

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